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Centro Ittico Campano, Aumenta il Rischio Scioglimento: le Società Miste S’Avviano al Capolinea

Freebacoli: Centro Ittico Campano, Aumenta il Rischio Scioglimento: le Società Miste S’Avviano al Capolinea

domenica 31 ottobre 2010

Centro Ittico Campano, Aumenta il Rischio Scioglimento: le Società Miste S’Avviano al Capolinea

La Redazione di Freebacoli, a seguito del convegno tenutosi presso la sala Ostrichina del parco Vanvitelliano del Fusaro circa il tema “Società Miste o Partecipate, ritiene opportuno pubblicare la relazione effettuata dall’avvocato bacolese Giacomo Perreca.

Nella stessa, di cui si ripropone uno stralcio e la quale è stata letta alla presenza dell’assessore al Bilancio del Comune di Bacoli e dinanzi ad una platea di trecento avvocati, si fa chiaro ed esplicito riferimento alla prossima sorte del Centro Ittico Campano.

CONVEGNO 16.10.2010
SOCIETA’ MISTE O PARTECIPATE

image Questo tema è di forte impatto non soltanto sul piano teorico e generale, ma anche per la sua incidenza sulla conservazione del territorio. A gran parte dei presenti sono infatti noti i problemi sollevati – ma mai risolti – dalla gestione della S.p.A. Centro Ittico Campano, che soltanto in apparenza si mostra come una società di tipo commerciale, che gestisce i suoi beni patrimoniali secondo regole privatistiche; ma che, a ben guardare, tale non è, posto che la sorte dei beni di questo ente è regolata per legge, prevedendosi che il Comune di Bacoli – nel cui comprensorio essi ricadono, rappresentandone circa un quinto dell'intero territorio - esercita su di essi il controllo non soltanto urbanistico, ma anche funzionale ed amministrativo. Proprio in questa prospettiva, il Consiglio comunale di Bacoli approvò, nel 1997, il “Piano di rilancio delle attività e dei beni del patrimonio del compendio campano del Centro Ittico Tarantino Campano s.p.a.[al quale è subentrato il Centro Ittico Campano s.p.a., a seguito della scissione dell'originaria società]". In quel piano era stata individuata, quale strumento giuridico da utilizzare per l’attuazione delle iniziative che il Comune intendeva realizzare nell’interesse della cittadinanza, la costituzione di cinque società miste, tutte partecipate dal Comune e con il concorso della Regione e di partners privati di provata capacità, da selezionare con procedure ad evidenza pubblica; e questa scelta fu fatta sul rilievo che le società miste, costituite per la gestione di un servizio pubblico locale, permettono di coniugare la tutela di interessi collettivi con la snellezza del modello gestionale privatistico.

Sotto il profilo strutturale, infatti, quelle società si caratterizzano per la strumentalità rispetto all’esercizio dei servizi pubblici previsti dall’art. 112 d. lgs 18.8.2000 n. 267 (Tuel), secondo cui è demandata agli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, la gestione dei “servizi pubblici locali, che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali ”. E proprio nell’ambito del perseguimento di queste finalità, l’art. 22 della legge 8.6.1990 n. 142 previde la società mista come una delle possibili modalità di gestione dei servizi pubblici locali, in alternativa alle aziende municipalizzate ed alla concessione. Questo modello di società mista non può sfuggire alla regola che, quando l’erogazione dei servizi pubblici locali sia conferita a società a capitale misto pubblico – privato, il socio privato, o la controparte contrattuale, deve essere necessariamente scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche. Questa scelta è la sola idonea a garantire un alto grado di efficienza nella gestione dei servizi, alla cui realizzazione è chiamata la componente privata, mentre quella pubblica garantisce il perseguimento dell’interesse della comunità locale. In questa prospettiva, infatti, le società miste sono caratterizzate – e la loro azione è limitata - dal vincolo di scopo, inteso come “cura degli interessi delle comunità locali perseguibili attraverso l’attività di gestione funzionalmente svolta dalla società nei settori dei servizi pubblici per i quali la stessa è stata costituita, indipendentemente dalla partecipazione pubblica maggioritaria o minoritaria e dal vincolo di economicità della gestione”. In definitiva, in quelle società il perseguimento dell’interesse pubblico prevale sul fine lucrativo.

image Il tema è diventato, oggi, di grande e scottante attualità, in quanto sembra che stia per finire la stagione delle privatizzazioni spinte, quando gli enti pubblici territoriali avevano creduto di potersi sottrarre ai vincoli di bilancio affidando la gestione di gran parte delle attività economiche ad essi istituzionalmente affidate per legge a società gestite direttamente dallo stesso ente (che, in questo modo, rientrava dalla finestra dopo essere uscito dalla porta), oppure in concorso con privati, non sempre scelti secondo criteri di imparzialità e concorrenzialità. Da molti anni, infatti, i Comuni avevano delegato pezzi importanti della loro attività a società per azioni o a responsabilità limitata, a partecipazione pubblica, nei più diversi settori, dai trasporti ai servizi ambientali, all’acqua. Queste società partecipate dagli enti pubblici territoriali, pur non facendo formalmente parte della Pubblica amministrazione, ne costituiscono comunque un pezzo importante, tanto da influenzare la ricchezza ed il benessere di un territorio. E per questa ragione, hanno ottenuto sempre una grande autonomia gestionale, sottraendosi all’indirizzo ed al controllo dei loro “proprietari” e finanziatori, che però non sono il Sindaco o la Giunta comunale, ma i cittadini, su cui, alla fine, ricadono i risultati spesso negativi di quella gestione, che comunque poi appesantiscono le finanze locali. Ma, anche quando questo non accada, la spesa complessiva è enorme; ed infatti, secondo la banca dati dei Conti Pubblici Territoriali del Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2007 la gestione delle società partecipate è stata di 60,4 miliardi di euro, una buona parte dei quali è destinata ai compensi dei componenti dei consigli di amministrazione (in numero di 23.400, sempre a quella data). Questi dati sono stati confermati, nel 2010, dalla Corte dei Conti – Sezione delle autonomie, che ha effettuato un'indagine - riferita all’arco temporale 2005/2008 con analisi finanziarie spinte fino al 2009 - sul fenomeno delle partecipazioni in società ed altri organismi da parte di Comuni e Province, all’esito della quale è emerso che il sistema delle cosiddette partecipate è uno "strumento spesso utilizzato per forzare le regole poste a tutela della concorrenza e sovente finalizzato ad eludere i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali". 

Dall’esigenza di porre un freno ai costi crescenti ed agli effetti negativi che spesso derivano dal massiccio ricorso a questo strumento di gestione di attività economiche, è partito il nostro legislatore con la manovra finanziaria per il 2010, oggetto del d.l. 31 maggio 2010, n.78 convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, , che sembra volere provocare la fine delle partecipazioni societarie detenute dai Comuni piccoli e medio-piccoli, che infatti vengono quasi completamente vietate, o comunque fortemente ridimensionate, ed aprire invece al mercato le società dei comuni maggiori e delle province.

image Da queste scelte normative deriveranno, a breve, conseguenze per tutte le società partecipate, che potranno essere costrette a sciogliersi. E fra queste rientra, per l’appunto, anche il Centro Ittico Campano, che a quella categoria di società miste sicuramente appartiene, essendo posseduto al 99,67% dalla Città di Bacoli e per il residuo da una società di diritto privato (Terme di Agnano s.p.a.).

La sinergia fra privato e pubblico può essere la chiave di volta per coniugare l’efficienza del primo con la trasparenza e la legalità del secondo, in modo da garantire la tutela del patrimonio collettivo. L’occasione può essere offerta – e deve essere colta – nel momento in cui si va verso il federalismo fiscale, che riverserà sulle amministrazioni locali il controllo di numerose attività fino ad oggi trascurate. E tale è sicuramente, nel nostro territorio, la valorizzazione dei beni culturali, che debbono continuare ad essere patrimonio e valore comune ed occasione di sviluppo economico e produttivo per l’intera comunità.

Molte sono le regole da cui si può trarre questa conclusione. Innanzi tutto, la imposizione agli enti locali del controllo di economicità nella resa del servizio e la predisposizione di strumenti di direzione e controllo adeguati per garantire il costante rispetto della legge, a partire proprio dall’affidamento e gestione del servizio. In questa stessa ottica deve essere letta anche la previsione che la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica, sicchè tale incarico potrà dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute, ove previsto dalla normativa vigente, e nel caso in cui siano già previsti i gettoni di presenza, questi non potranno superare un modesto importo fissato per legge.

Avv. Giacomo Perreca

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